I heart NY

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Mi infilo New York come un vecchio paio di amati jeans: si è modellata alla mia pelle e io a lei. Qui sto bene, a mio agio. Come se non me ne fossi mai andata.

ASPETTA, ASPETTA! TORNA INDIETRO!!

VELOCE RIASSUNTO:

Sono andata via dalla Sardegna (un viaggio di un giorno, dall’isoletta all’isolona all’aeroporto, in volo sopra la Manica, giù a Londra, due treni e una camminata – finalmente arrivata a casa!) e sono stata 10 giorni a Londra.

Tornare a Londra mi mette sempre di buon umore: in 19 anni di vita londinese mi sono sentita di malumore al ritorno una sola volta; era probabilmente il momento più brutto e difficile della mia vita, ero appena uscita da una relazione estremamente difficile (e violenta), ero sul lastrico e avevo problemi legali, ero senza casa e Londra era grigia, scura e piovosa. Quindi, insomma, non c’è da stupirsi che mi sentissi giù, no? Comunque… anche solo scendendo dall’aereo sento quell’odore di Londra e mi sento a casa, come non mi succede mai con Roma.

Ho passato la settimana a vedere amici cari, a parlare tanto (Skype va bene ma non è la stessa cosa!) e a sentirmi felice di far parte delle vite di queste persone fantastiche. E poi mi ha accolta una Peckham assolata, e mi sono sentita nuovamente fortunatissima di poter dire che questa è casa mia e di sapere che quando tutto questo “nomadismo” sarà finito (quando? Non ne ho idea) è qui che tornerò: un posto che mi calza a pennello.

L’unica nota negativa della breve permanenza londinese è l’ormai classica delusione da parte degli uomini. Nella mia vita ci sono diversi uomini che mi ronzano intorno, magari hanno paura di “abboccare”, o forse non sono troppo interessati. Mentre viaggio c’è un bombardamento di messaggi e poi, appena arrivo a Londra… non si materializza nulla. Ma com’è? La natura degli uomini per me si sta sempre più staccando dalla vita reale e diventando “eterea”. Ma io continuo per la mia strada.

 

QUINDI… TORNIAMO A NEW YORK!

Ho anche fatto un’esperienza unica: ho viaggiato in prima classe attraversando l’Atlantico!! Davvero, le parole non bastano a esprimere la differenza tra economy e prima. Come farò mai a tornare ai viaggi a pedali a cui sono abituata??

New York è calda, umida, l’aria è elettrica. I vagoni della metro corrono e sobbalzano, facendomi scivolare via dal mio sedile e urtare altri sederi.

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Mi guardo intorno e vedo questa massa di umanità, che ogni giorno si congrega in un posto così piccolo.

Un milione, no vari milioni, di universi, che si scontrano l’un l’altro. Molti sono universi ingiusti, persone che non sono mai andate oltre quest’area, altre che non sono mai andate persino a Manhattan… vite parallele che potrebbero non incrociarsi mai. È al contempo travolgente ed elettrizzante. Ti senti come se tutto fosse possibile, anche se nella realtà, molto poco è davvero possibile. Ma, ehi, questa è New York.

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Cammino per la città come stordita. Mangio cibi strani e interessanti, incontro degli amici, visito la Highline, vado al cinema (il mio passatempo preferito negli USA). Ho due appuntamenti galanti. Uno 🙁 e l’altro OK. Vado avanti.

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Spesso penso che, in un universo parallelo, abito a NY invece che a Londra, e per questo questa città avrà sempre un posto speciale nel mio cuore; però ora mi sento che per ricominciare daccapo a NY sono troppo vecchia, troppo stanca.

Lotto col bagaglio e arrivo a Penn Station, nel caldo soffocante. Prendo il Vermonter per Brattleboro. Venendo dall’Europa, i treni americani sono curiosi. I vagoni sono vecchi, ma spaziosi e comodi. È sabato e il treno è mezzo vuoto. In Inghilterra sarebbe stracolmo. C’è il wi-fi gratis. Il treno viaggia a una velocità piuttosto bassa. Sembra i treni di un tempo: guardi fuori il paese che ti scorre davanti, leggi, o ti fai cullare dal leggero movimento. Una volta lontano da NY, la maggior parte delle stazioni non sono “stazioni”. Sono solo punti sui binari. Non c’è banchina, quindi i capotreni devono dirti da quale porta scendere, dove preparano delle scale che ti fanno scendere a livello della strada. Curioso. Oh, e di questi treni ce n’è solo uno al giorno… e poi si dice la lobby delle auto!

Prossimo aggiornamento: VERMONT

 

 

 

Isole

She’s got everything she needs
She’s an artist, she don’t look back
She can take the dark out of nighttime
And paint the daytime black.

(Bob Dylan)

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Sto viaggiando tra isole.

Prima di tutto sono stata all’isola d’Elba. Storica, bellissima, quasi impregnabile. Sono andata all’Elba per un matrimonio; un matrimonio che non vedevo l’ora di vivere da tanto tempo, e che si è rivelato anche più fantastico delle aspettative.

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Il tempo era variabile, ventoso. Mi sono incontrata con alcuni degli altri ospiti per andare all’Elba e poi beccare gli altri. La maggior parte di noi dormiva nello stesso posto, il luogo del ricevimento. E la maggior parte di noi che già si conosceva un po’ e veniva da Roma era, originariamente, secoli fa, amici di scuola.

Vedete… io sono andata a una scuola speciale. Non “speciale” nel senso negativo, ma in quello positivo. Parzialmente anche dato dal fatto che io sono andata via dall’Italia non appena mi sono diplomata, sono rimasta amica, e in alcuni casi ho sviluppato un’amicizia più stretta, con delle persone che conosco da quando ho circa 14 anni. Per alcune persone questo potrebbe sembrare strano, per altre affatto. Per me, è praticamente un miracolo. Ma la storia della nostra scuola e delle nostre amicizie va raccontata un’altra volta. Basta dire che c’è un bel gruppo di amici (anzi, vari gruppi) che è emerso da quell’esperienza e, anche se siamo separati dalle distanze geografiche, andiamo veramente d’accordo.

Quindi, con questo gruppo disparato mi sono ritrovata all’Elba a passeggiare, a passare il tempo, a chiacchierare e spettegolare, e certe volte a essere irritata: è così tanto che viaggio da sola che trovarmi improvvisamente in dinamiche di gruppo mi ha un po’ sconvolto. Poi, il tratto peculiare dei romani di essere completamente indecisi e temporeggiare su praticamente tutto, mi stava velocemente facendo impazzire. Quindi un paio di volte ho “sclerato”. Quindi, ehm, scusatemi ragazzi!

L’altra spiegazione per questo fatto è che la notte prima del matrimonio non mi sentivo molto bene, e mi ero convinta che mi sarebbe partita una bella influenza o cose simili. Ho fatto bozzolo nel letto, mi hanno portato altre coperte, ho perfino saltato la cena (e chi mi conosce bene sa che io non perdo MAI un’opportunità per mangiare… quindi stavo davvero male… non ricordo l’ultima volta che non ho avuto fame). Dopo una notte piena di sogni strani ho avuto una mattina malaticcia ma poi, miracolosamente, quando si è fatta l’ora di andare in Comune, mi sentivo bene e alla fine mi sono divertita da matti.

La durata del matrimonio ha sfidato quella dei matrimoni indiani: dalle 11 di mattina a mezzanotte, ballando, mangiando, giocando a calcio e (qualcuno – non io!) che ha deciso di farsi un bagno proibito in piscina a mezzanotte, mentre altri hanno cercato di accendere delle lanterne volanti, però una si è incastrata in degli alberi :/

Al matrimonio ho pianto un pochino (mi capita spesso, cavolo) e ho pensato che mi sento pronta ad avere nuovamente una storia seria, con gli occhi aperti e senza la testa nel mondo delle fiabe. Vedremo cosa porta la vita. Sono speranzosa, ma forse proprio questo vuol dire avere la testa nel mondo delle fiabe.

Sono rimasta all’Elba qualche altro giorno. La mia casa si trovava in Via dell’Amore, perfetto, no? Ho mangiato ottimo pesce, ho camminato e lavorato (come sempre). Purtroppo il tempo non era sufficientemente buono per la spiaggia.

Poi sono andata a Roma, e qui non ne parliamo…

Dopo Roma, mi sono imbarcata per un traghetto di 14 ore per Cagliari (portavo la macchina di mia zia). Mi sono dovuta prendere la Xamamina, il mare era un po’ mosso (mi sento male anche a stare su un pontile galleggiante) e quindi il viaggio è passato abbastanza velocemente. Da Cagliari sono andata verso ovest e poi ho preso un altro traghetto, stavolta breve, per l’Isola di San Pietro e Carloforte, la punta sud-ovest della Sardegna. Dopo c’è solo la Tunisia…

Quindi sono su un’isola di un’isola di una penisola. Non credo si possa fare di meglio… E poi, la connessione internet qui è MOLTO instabile, quindi la uso poco. Che non è negativo. Passo i giorni da sola, vado alla spiaggia (per ora solo due giornate sufficientemente calde per prendere il sole e farsi un bagnetto), lavoro, scrivo, leggo. Sto facendo detox del mio cervello (o almeno spero).

Tra qualche giorno mia madre e mia zia arriveranno qui e ci godremo il Girotonno, che festeggia il prodotto di punta dell’isola: il tonno. Il che significa che mangerò un botto.

L’altro aspetto di questa sezione di viaggio è che lo trovo molto introspettivo. Da quando ero piccola, mio padre ci portava in Sardegna tutti gli anni per due-tre settimane, in genere alla fine dell’estate (per il mio compleanno) quando era tutto più tranquillo ed economico. È vero che le giornate erano più brevi, ma l’acqua era più calda e si pescava bene, ma non sempre.

Mettere nuovamente piede in Sardegna e odorare i suoi odori unici, provare i suoi sapori fantastici, mi ricorda di tutte quelle vacanze estive, di andare a pesca con papà e doversi quasi sempre accontentare di zuppa di pesce (anche se una volta ho pescato un’occhiata!), di preparare l’esca, mettendola nel frigo tutta puzzolente, di dovermi tuffare dal nostro gommone ogni volta che mi sentivo male (capitava spesso), di possibili insolazioni, di pelle così scura che sembravo un’altra persona, di sale, di gambe esfoliate dalla sabbia, di panini al pomodoro fresco, di andare con maschera e boccaglio alla ricerca di polipi, di gelati nel pomeriggio e di giocare con mio fratello e i cugini, di leggere in spiaggia per ore e ore, non sentendo il calore. Ricordo di non volere che quelle vacanze finissero mai, perché subito dopo ricominciava la scuola per un nuovo anno.

Non sono mai venuta a Carloforte con mio padre, e a dire il vero è diversa dal resto della Sardegna (a causa delle sue influenze genovesi e altre), ma per molti versi è uguale. Qui sento che mio padre potrebbe aprire la porta in qualsiasi momento, di ritorno dall’aver comprato cornetti caldi dal fornaio, impaziente di cominciare a pescare.

Speriamo che stavolta ne peschiamo uno grosso.

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